Quando l’amico Laterza mi ha portato il suo libro chiedendomi di leggerlo e, se lo ritenevo valido, di fare la prefazione, accettai, confesso per spirito di scuola: siamo tra gli ultimi allievi di Cerletti ancora sulla piazza! Con la sua innata gentilezza Aldo timidamente aggiunse “mi hanno detto che è scritto anche bene”.
Lo cominciai a leggere come “dovere di scuola e di amicizia” e non mi staccai sino all’ultima pagina: il libro è stupendo. Aldo è un vero scrittore, Aldo ha una gran vita interiore, è un serio validissimo Primario “di campagna”.
Dalle sue parole, i suoi giudizi, traspare tutto il fascino direi “storico” del vecchio medico che vive la vita dei suoi pazienti e la vive con la sua seria e aggiornatissima preparazione di Primario.
Lo penso che esce dal suo Ospedale, a cui ha dedicato la parte migliore della sua vita, ed è riconosciuto per la strada, fermato, salutato, amato.
Dal libro si respira il fascino dell’incontro. Qui morale pubblica e morale privata non sono scisse: tu devi affrontare il giudizio tecnico ed umano che la gente da al tuo operato.
Giovane attivo, serioso, così l’ho conosciuto ai suoi primi passi in clinica e quando ho saputo che aveva vinto il concorso come primo Primario neurologo a Viterbo sono stato molto contento. Gliel’ho anche detto: era il posto adatto per lui ritornare nella sua Viterbo, nella sua atmosfera natia. Una impresa difficile: Primario in una piccola
cittadina è molto più difficile e impegnativo che esserlo in una grande città e lo si vede leggendo il libro quando deve prendere da solo, solo con la sua preparazione (molto aggiornata come ho detto) immediate decisioni.
Tutto questo traspare dai racconti, ma ti colpisce però un altro aspetto: una straordinaria umanità (che noi gli abbiamo sempre riconosciuto), una grande poesia e una grande profondità filosofica.
C’è una costante partecipazione emotiva alle ansie dei suoi pazienti: c’è in lui un’analisi profonda dell’uomo di fronte alla morte: belle le sue parole per l’amico che non vuole che si dica alla moglie e nemmeno a lui se deve morire; si dilunga per trasmettere la grande dignità umana del Signor Francesco: viene fuori la filosofia e la moralità di chi è legato alla terra ed ai valori essenziali (l’amicizia di Gianni) e la grandezza d’affrontare a viso aperto “la morte”.
Poesia con la vecchietta che esita nello spogliarsi, senso di gioia nell’aver intuito la diagnosi di tetano, sacrificio di tempo per il caso clinico (ecco il vecchio medico di campagna e di famiglia che corre in macchina, che rinuncia anche a pochi giorni di riposo), l’umanità di tacere, di non abbattere, di dare speranza senza nulla togliere alle cure, nel trasmettere le diagnosi (vedi l’episodio un po’ spiritoso dell’amico ginecologo).
Pochi accenni alla sua famiglia, ma si sente che la sua personalità deve molto alla educazione ricevuta, una pennellata stupenda: il primo camice “me lo fece confezionare mia madre; mio padre in genere parco di parole commentò chi sa tra quanti guai ti andrai a cacciare con quel camice...”
Linguaggio chiaro, semplice, poetico, insisto: sa trasmettere i suoi dubbi diagnostici, vissuti con forte scrupolosità, il dolore di perdere la sua compagna di giochi, Giorgina, prima che arrivasse la Potente medicina antitubercolare che l’avrebbe salvata: “un treno perduto”, il destino.
Ma è la presenza del suo eloquio, la sua essenzialità, che fa si che tu non ti distogli dal libro e soffri quando vedi che le pagine che seguono sono poche.
Vorresti ancora altri casi, altre emozioni.
Questo è il giudizio più positivo che tu puoi dare di un libro.
Vorresti ancora, ma senti comunque che ti ha trasmesso qualcosa.
Ti ringrazio Aldo di avermi offerto l’opportunità di siglare questa prefazione.