Silvana Cellucci

Anche l'affetto è amore

Presentazione di Maria Pia Nervegna

Tabula fati, Chieti, Marzo 2005

 

Presentazione di Maria Pia Nervegna

     Certo non sappiamo quali aspetti della sensibilità e della visione della vita di Silvana Cellucci scaturiscano da una sua esperienza personale e quanti da stimoli e suggerimenti rielaborati da altri testi letterari: certo è che Anche l’affetto è amore, una storia forte, capace di tenere avvinto il lettore e trascinarlo lungo le pagine, si riconnette alle opere della grande tradizione decadente italiana, probabilmente mai conclusa ma semplicemente trasformata in “nuova scrittura”.
     I protagonisti della storia, che sembrano godere della simpatia umana dell’artista, lungi dall’incarnare la rassicurante immagine piccolo-borghese, non sono paghi della mediocrità di vita, degli affetti domestici, delle modeste occupazioni che la loro condizione sembra offrire. Giovani torbidi e perversi, sono l’altra faccia, quella in ombra, ma senz’altro più autentica, del candore fanciullesco e dell’innocenza giovanile.
     L’innocenza non è in realtà sicura e intangibile: su di essa incombe un’insidia misteriosa. I protagonisti scoprono dentro di sé e per primi una sensibilità inquieta, tormentata, morbosa, sempre alle prese con un apparato di falsi moralismi impossibili da scalfire chiamandosi fuori dalle sovrastrutture e che è dunque necessario smascherare dall’interno, senza rinunciare alla ricerca delle proprie origini biologiche e culturali.
     Nell’intimità affettuosa del rifugio domestico, dietro una facciata di cooperazione e concordia fraterna, Dimitrios ed Erato vivono e celano inquietudini erotiche, intense e solo in parte consapevoli; si profila l’immagine dell’incesto nelle sue sembianze tragiche, mostruose, ripugnanti, quasi macabre, cui Silvana Cellucci accosta ambiguamente l’elemento sacro, non dimentica della lezione dei grandi tragici greci riletti in chiave psicanalitica.
     Il contesto sociale impone la separazione e auspica una riparazione; è allora che l’individuo diventa preda dello sconforto, della delusione, dello scacco, del dileguare delle illusioni; il desiderio non scompare, anzi diviene ancor più forte perché inappagabile. Questo clima è fino alla fine sospeso; falsi riconoscimenti non li vorrebbero fratelli, altre verità li ricongiungono nuovamente in nome dei vecchi legami di sangue, in una snervante alternanza che lascia continuamente nell’indefinito il lettore, al fine di caricare la chiusa di sensi misteriosi e perciò più suggestivi.
     L’andamento tortuoso del tempo del racconto, spezzato da anacronie ed ellissi che a loro volta richiedono nuovi recuperi della materia narrata, mette in rilievo il carattere ambiguo del reale rappresentato, in cui l’innocenza si oppone apparentemente alla perversione, ma reca già nei primordi qualcosa di languido e eccitato insieme, anticipando e richiamando l’esperienza morbosa del proibito, sia nei suoi significati più strettamente sessuali (l’incesto, l’adulterio) sia in quelli relazionali in senso lato (l’inganno, la finzione nelle sue varianti della simulazione e della dissimulazione, il suicidio, l’omicidio).
     La trasgressione più turpe non è solo quella sessuale, ma anche quella sociale: se ne macchiano soprattutto i rappresentanti delle classi abbienti, paladini di una normalità ingannevole che nasconde talvolta una follia violenta e assassina, talaltra una cinica abilità nel mercificare i sentimenti al fine di difendere le proprie prerogative economiche o di classe.
     Si tratta, a livello di poetica, di una visione problematica, incerta, ambigua, in cui le strutture sociali apparentemente gerarchizzate in una struttura fluida e aperta, si frammentano, chiudendosi egoisticamente in una miriade scompigliata e discontinua di nuclei familiari capaci di dissolvere gli ingenui tentativi di ingresso di Erato e Dimitrios, alla ricerca delle proprie autentiche origini.
     Nella parte finale il senso di orrore e di spavento si mescola quasi ad una voluttà di annientamento; al di là di esso, si prospetta la soluzione religiosa, la speranza di attingere all’amore e al perdono di Dio ad una visione sì più misteriosa ma anche più serena e appagante.
     Da rilevare è la tecnica narrativa con cui il romanzo è costruito. Abbiamo a che fare con la sistematica narrazione interna di Dimitrios protagonista dei fatti: molto viene presentato attraverso il suo punto di vista, la sua coscienza, i suoi ricordi, i suoi monologhi; ma il racconto non assume una dimensione visionaria, perché l’autrice sapiente utilizza in maniera volutamente discontinua anche la narrazione dei fatti oggettivi, pullulante — come sempre in Silvana Cellucci — di esistenze, di movimenti e di eventi.

Maria Pia Nervegna